In questi anni, nell’edilizia civile, le ristrutturazioni prevalgono di gran lunga sulle nuove costruzioni.
Giunge perciò a proposito la sentenza con cui le Sezioni Unite della Cassazione (7756 del 27/3/17) pongono termine a un’antica divaricazione di dottrina e giurisprudenza in tema di applicabilità dell’art. 1669 CC (Rovina di edificio) alle ristrutturazioni.
Il Codice prevede che per i beni immobili l’appaltatore sia responsabile se nel corso dei dieci anni dal suo compimento l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovini in tutto o in parte, ovvero presenti evidente pericolo di rovina o gravi difetti. La responsabilità decennale prevista dall’art. 1669 c.c., secondo una parte (minoritaria) della dottrina, avrebbe carattere del tutto speciale e si applicherebbe soltanto alle nuove costruzioni e a quegli interventi edilizi dotati di una propria autonomia in senso tecnico (come una sopraelevazione). Negli ultimi anni la Cassazione si era pronunciata in maniera difforme. Nel 2007 in modo conforme alla tesi sopra richiamata; nel 2015 sostenendo invece che la norma fosse applicabile anche nel caso di interventi su edifici preesistenti che avessero riguardato elementi essenziali del medesimo o elementi secondari ma rilevanti per la funzionalità globale.
Quest’ultimo e più largo orientamento è stato fatto ora proprio dalle sezioni unite della Cassazione. Secondo i supremi giudici, infatti, anche opere più limitate, aventi a oggetto riparazioni straordinarie, ristrutturazioni, restauri o altri interventi di natura immobiliare, possono rovinare o presentare evidente pericolo di rovina, tanto nella porzione oggetto dell’intervento quanto in quella, diversa e preesistente, che ne risulti coinvolta per ragioni di statica.
Le sezioni unite hanno evidenziato come spesso la magistratura abbia concesso la tutela decennale anche in riferimento a opere riguardanti elementi secondari e accessori dell’edificio, purché tali da comprometterne la funzionalità globale. Non limitandola alle componenti strutturali, la magistratura ha dato un’interpretazione estensiva dell’art. 1669 c.c. che ha superato l’originaria natura di norma a protezione dell’incolumità pubblica, valorizzando la non meno avvertita esigenza che l’immobile possa essere goduto e utilizzato in maniera conforme alla sua destinazione.
Anche perché un trattamento differenziato tra fabbricazione iniziale dell’edificio e sua ristrutturazione, scrivono le Sezioni Unite, non sarebbe apparsa conforme a un’interpretazione costituzionalmente orientata, potendo essere entrambe le attività foriere dei medesimi gravi pregiudizi.
Interessante anche la conclusione, che in coerenza con l’assunto sposta l’asse della responsabilità stabilita dal Codice. La sua natura extracontrattuale, da sempre sostenuta dalla giurisprudenza e da gran parte della dottrina, cede il passo a quella contrattuale, perché spostando l’attenzione sulla categoria dei gravi difetti si fa prevalere sul bene dell’incolumità dei terzi – pubblicistico - quello del godimento normale del bene, tipicamente privatistico.